Ri-Trovarsi a Istanbul

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Ri-Trovarsi a Istanbul (2013)

Lo scrittore Orhan Pamuk racconta come la sua città natale, Istanbul, sia pervasa da una «malinconia implacabile»; intrisa di «poeticità del tessuto, formato da ogni sorta di stranezze e antichità»; segnata dall’ossimoro tra «grandezza imperiale» e «detriti della storia». Il viaggiatore ne rimane profondamente colpito, quasi a volersi immergere negli sguardi intensi degli abitanti, che, soprattutto nei quartieri più antichi e poveri, incarnano l’essenza di un Paese affascinante, crogiolo di etnie diverse, cuore pulsante tra Europa e Asia. La fotografia di Alessandro Romeo indaga le trame più nascoste di tale realtà, lontana e vicina a noi, divenendo testimonianza preziosa di un viaggio dell’anima, in cui, al di là della povertà e delle macerie, è possibile cogliere la vera umanità, ‘araba fenice’ che risorge dalle proprie ceneri.

«Ogni immagine è a sé stante, con un proprio posto e sentimento», prendendo in prestito una giusta considerazione elaborata dal fotografo Steve MacCurry sulla genesi dei reportages. L’insieme è coerente ma ogni scatto racchiude, a sua volta, un microcosmo di emozioni, storie, cronache di vita quotidiana. La casualità dei gesti è immortalata da scatti che colgono l’attimo per fissarlo in maniera indelebile, definitiva nella mente dello spettatore.

Quello di Alessandro Romeo è un racconto visuale, sospeso tra cronaca, letteratura, documento. È testimonianza tangibile di come la fotografia abbia la stessa potenza di un’opera letteraria: il labor limae è costante; ogni scatto è selezionato tra migliaia, fino a raggiungere l’effetto desiderato. L’attività di ricerca sottende la sequenza di visi, espressioni, luoghi, che è possibile ‘ri-trovare’ nei vicoli, tra le strade dei nostri quartieri, delle nostre città.

Alberto Manguel, giornalista del quotidiano «The Washington Post», scrive di Pamuk e della sua Istanbul nel seguente modo: «Istanbul come malinconia condivisa, Istanbul come doppio, Istanbul come immagini in bianco e nero di edifici sbriciolati e di minareti fantasma, Istanbul come labirinto di strade osservate da alte finestre e balconi, Istanbul come invenzione degli stranieri, Istanbul come luogo di primi amori e ultimi riti: alla fine tutti questi tentativi di una definizione diventano Istanbul come autoritratto, Istanbul come Pamuk». Le foto di Alessandro sembrano tradurre perfettamente in immagine la citazione precedente, rivelando una sensibilità acuta e profonda, capace di indagare l’Essere nelle sue molteplici espressioni, a testimonianza di come il reportage possa diventare altro: poesia introspettiva della memoria.

Aurelia Nicolosi (storica dell’arte)

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